Dipendenza da lavoro: the well-dressed addiction

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Nel corso dell’ultimo ventennio abbiamo assistito ad importanti cambiamenti culturali, sociali ed economici che hanno modificato, e stanno modificando, profondamente il nostro modo di vivere.

La portata di tali cambiamenti, nel contesto della rivoluzione ipertecnologica dalla quale siamo letteralmente investiti, hanno dato vita alla diffusione sempre più allarmante di alcuni comportamenti sintomatici, espressione emblematica del periodo storico in cui viviamo: le nuove dipendenze, o new addictions. L’evoluzione tecnologica, la diffusione di internet e dei social media hanno alimentato un diffuso senso di alienazione, stress e vuoto: l’uomo post-moderno, connesso 24h su 24 con il mondo intero, ma in realtà sempre più solo ed incapace di rallentare un modo di vivere sempre più frenetico, sta perdendo quel tempo e quello spazio che gli permettono di coltivare rapporti interpersonali autentici e la possibilità di riflettere sulla propria vita e su se stesso.

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Le nuove dipendenze rispecchiano una società in mutamento, nuove abitudini e nuovi modi di esprimere le proprie emozioni e di comunicarle agli altri. Non hanno come oggetto le tradizionali sostanze (alcool, fumo, sostanze psicotrope) ma comportamenti o “situazioni” (sono anche dette, infatti, dipendenze “comportamentali” o “sociali”). Tra le più note potremmo citare la dipendenza da gioco d’azzardo, la dipendenza da shopping, la dipendenza da sesso, da internet, da videogames. In questo vasto ed eterogeneo gruppo di dipendenze, dove i confini tra patologia e “normalità” sono vaghi, labili e sfumati, si colloca la dipendenza da lavoro (workaholism).

Il Workaholism, o work-addiction, è una tipologia di dipendenza patologica che occupa un posto a sé, mostrandosi a differenza delle altre come una dipendenza socialmente rispettabile, “pulita”, sempre più incoraggiata dalla società e dal mondo aziendale. Non a caso è stata definita da Bryan Robinson, psicoterapeuta tra i più noti studiosi del disturbo, the well-dressed addiction” (la dipendenza ben vestita). Il “workaholic,” cioè il “dipendente da lavoro”, nell'immaginario collettivo è ciò che più si discosta dallo stigma della patologia: costui, con la sua ventiquattrore in mano, non solo nasconde la sua fragilità ed il suo bisogno di aiuto, ma viene elogiato ed ambito dai datori di lavoro, oltre che emulato dai colleghi per il suo modo apparentemente invidiabile di vivere e lavorare (che diventa però gradualmente più un modo di vivere per lavorare).

La work-addiction, in definitiva, è un disturbo che si manifesta attraverso richieste autoimposte e un’incapacità di regolare le proprie abitudini lavorative, che a lungo andare conduce all'esclusione delle altre attività importanti della vita.

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Le due caratteristiche fondamentali di questa patologia, quindi, sono una spinta incontrollabile ed irrazionale a lavorare compulsivamente, che porta a sottrarre una quantità significativa di ore agli altri ambiti importanti della vita (attività di svago, hobbies, rapporti interpersonali, sentimentali ed amicali). Il comportamento del workaholic appare ripetitivo, inflessibile e perfezionista: il “malato da lavoro” si impone ritmi di lavoro serratissimi ed è incapace di delegare compiti o responsabilità agli altri; riesce a lavorare anche di notte senza apparentemente risentire di stress e affaticamento, e con il tempo diventa autoritario e prepotente sia con i colleghi che con i famigliari. Sono proprio questi ultimi a risentire per primi degli effetti dannosi della dipendenza, mentre vengono messi sempre più da parte fino a diventare invisibili agli occhi del workaholic.

Secondo Looke e Gregson, un comportamento tipico dei dipendenti da lavoro è quello di portarsi il lavoro a casa la sera e in vacanza tentando, in maniera solitamente fallimentare, di nasconderlo ai familiari. Non sperimentando mai momenti di reale stacco dal lavoro, con il tempo diventano irritabili e scontrosi, sviluppano comportamenti e stili di vita malsani abusando spesso di alcool, tabacco e caffeina.

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Ciò che verrà spontaneo chiedersi (e certamente allarmerà un gran numero di persone!) sarà: coloro che amano il proprio lavoro, al quale si dedicano molte ore al giorno, sono tutti “malati di lavoro”? Naturalmente no.

Come in letteratura è stato sottolineato, ciò che distingue il workaholism dal coinvolgimento lavorativo non è tanto la quantità di ore lavorate quanto la motivazione a lavorare incessantemente. Il dipendente da lavoro, a differenza di colui che lavora sodo (hard worker), non lavora incessantemente perché sceglie di farlo ma perché è spinto da un impulso irrazionale ed irrefrenabile, dunque non è più libero di scegliere una condotta differente. Un altro elemento che caratteristico di questa patologia è l’abbattimento totale della barriera che separa la vita professionale da quella privata, che viene a poco a poco invasa ed annullata.

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