L'emergenza Covid-19 ha portato con sé numerose conseguenze sul piano sanitario ed economico, la cui ampiezza non è ancora del tutto evidente. Ciò che può essere osservato, almeno a livello individuale, è che alcune percezioni relative ad elementi della vita quotidiana hanno subito un’alterazione che durerà ancora a lungo, anche quando la crisi sarà parzialmente o del tutto alle spalle. La vicinanza e il contatto fisico, come veicolo principale per l’espressione delle nostre relazioni, così come il gesto automatico del “touch” sugli innumerevoli dispositivi multimediali, fino a ieri evocavano emozioni e reazioni positive, legati alla nostra identità di “animali sociali” capaci di supportarsi reciprocamente e alla possibilità di gestire le esigenze personali e professionali con un gesto naturale. Ad oggi, a causa delle restrizioni necessariamente imposte, tutto ciò evoca invece anche elementi legati al pericolo, al divieto, a qualcosa che potenzialmente possiede dei lati ambigui o negativi.
L’evoluzione digitale già in atto a livello industriale ha dunque subito una brusca accelerazione, non tanto negli strumenti che sfruttano appieno la RETE (già ampiamente disponibili) quanto nella consapevolezza che ad essi dovremo adattarci in fretta, soprattutto a livello psicologico. Non bisogna considerare solo esempi lampanti come lo smart working, bensì una tendenza che coinvolge tutti i processi aziendali ridisegnando il rapporto tra persone, tecnologie, centri decisionali e parte operativa. Naturalmente, anche la selezione del personale è uno di questi processi.
Essendo essenzialmente basata su di un fattore umano, è proprio la selezione a presentare alcune delle incognite più rilevanti in questo passaggio di prospettiva. L’abitudine che molti valutatori mantengono, all'interno delle aziende, è quella di applicare già al primo colloquio una valutazione istintiva, empatica del candidato, dunque legata ad elementi di sintonia personale che possono far pensare “lavoreremo bene insieme”. Tale approccio genera una falsa percezione di successo poiché non tiene conto di quanto potessero essere competenti i candidati scartati, ed è sostenuta proprio dalla cosiddetta “psicologia dello scarto”, che porta a semplificare la valutazione cercando sistematicamente gli elementi di incompatibilità, piuttosto che quelli di potenziale utilità.
In questo contesto, le resistenze ad applicare una prospettiva diversa nascono anche da una visione dell’azienda come unico giudice nel processo di selezione, comunque caratterizzata da una posizione dominante in ogni sua fase. Tutto ciò è evidentemente in contrasto con una realtà definibile di “Internet of people”, in cui il candidato già prima del colloquio ha a disposizione fonti d’informazione più varie e numerose rispetto all'azienda, che si basa quasi solo sul curriculum. Qualunque candidato oggi visita il sito e attiva una rete di contatti per raccogliere notizie, valuta la social reputation, recupera facilmente elementi relativi allo stato economico e alla posizione sul mercato, e quello un po’ più “smart” individuerà i profili social di dipendenti ed ex dipendenti valutando tutta una serie di informazioni supplementari. La RETE, dunque, ridefinisce i confini del potere decisionale tra azienda e candidato, che confronterà molte proposte diverse su parametri legati solo in parte a inquadramento e stipendio.
Oggi, dunque, ancora più di ieri, le aziende dovranno abituarsi a CONQUISTARE A DISTANZA i candidati e ad attrezzarsi attivamente per farlo. Di questo parleremo nel nostro prossimo articolo.
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